Solo la crisi ci può salvare

20161129_184857
Ho intercettato il libro di Andrea strozzi e Paolo Ermani forse navigando in internet (spesso ormai accade così), dopo aver trovato il suo blog Low Living High Thinking.
Gli articoli che leggevo, mi apparivano interessanti e in linea con molte dele riflessioni di questi mesi: il tempo della nostra vita dedicata al lavoro (le 8 ore al giorno del lavoro, il miglior tempo psicofisico che possediamo e che è tutto dedicato ad altro e altri), i consumi del nostro quotidiano, in molte occasioni scollegati dalle nostre esigenze primarie, e molto più spesso dettati da bisogni artificiali.
Alla fine mi sono deciso e ho acquistato il libro Solo la crisi ci può salvare, Edizioni Il punto d’incontro. Sono rimasto soddisfatto perché ho trovato ordinati e chiariti, finalmente con una struttura, molti degli elementi che mi frullavano appunto in testa. Ad esempio, il PIL, ovvero l’indicatore di crescita attraverso il quale oggi siamo abituati a giudicare lo stato di salute dell’economia di un dato paese.
Ebbene nel libro si sviscera adeguatamente come il PIL sia un indice imperfetto che, pur di essere utilizzato per giustificare ad ogni costo il modello economico nel quale siamo immersi, ha da poco incoporato anche voci provenienti da attività illegali quali il narcotraffico, la prostituzione, il contrabbando.
Imperfetto in quanto tiene conto del Capitale e Lavoro, ma non contempli alcun parametro inerente l’impatto sull’ambiente e faccia i conti con la scarsità di risorse presenti sulla Terra.
Come dire che la crescita è una chimera nella quale ci hanno fatto credere per anni, e io, che sono nato negli anni 70, ho vissuto queste idee per tutta la vita, non le ho messe in dubbio se non negli ultimi 5 anni, a volere essere ottimista.
E non si parla solo di questo, il libro analizza diversi aspetti sociali, come l’adeguamento a stili di vita che fino a poco tempo fa non ci appartenevano, l’entità della crisi rispetto ad altre che storicamente si sono verificate e come la crisi in corso possa rappresentare una opportunità di ripensamento personale, sia nei consumi che nel lavoro, nonché della dimensione della scelta come uno dei pochi strumenti reali di “controllo” della realtà, ovvero ripartire da sé e dalla comunità.
Non è cosa da poco mettere in discussione, ma da qualche parte bisogna sempre iniziare.

1 Comment

  1. antonietta says: Rispondi

    … e, come diceva Bob Kennedy già nei lontani anni sessanta, il Pil non tiene minimamente conto della “felicità”, del “benessere” delle persone…

Lascia un commento