Ciò che inferno non è – Alessandro D’Avenia

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La prima volta che ho incontrato Ciò che inferno non è, di Alessandro D’Avenia, fu in una libreria di Rapallo, dove mi trovato per un fine settimana via da Milano. Già allora mi aveva colpito l’immagine in copertina, dove la decadenza risplendeva di bellezza, in quell’immenso blu che accendeva il respiro, nonostante tutto. Non mi aveva sorpreso dunque leggere la quarta di copertina e scoprire che il romanzo era ambientato in Sicilia.

Il fatto che parlasse di Don Pino Puglisi aveva però generato una distanza, non so, leggere di una persona realmente vissuta e morta per mano della mafia, uno degli eroi divenuti tali solo dopo il loro brutale omicidio (ed in vita spesso non difesi a sufficienza dallo Stato), in qualche modo di intristiva.

Eppure gli incontri hanno sempre un senso, per rimanere in mente o scordarsene per sempre. Dopo più di un anno reincontro il libro al bookcrossing che organizziamo nel quartiere, e sento che quella incantevole decandenza andava conosciuta. Tornato a casa, comincio a leggere e l’impressione, nelle prime pagine, non è delle migliori.

Sovrabbondanza, di aggettivi, descrizioni, colori, che non riesco a giustificare, sebbene si parli della Sicilia, e per la mia terra la sovrabbondanza è la norma, per poter sopravvivere alle contraddizioni continue.

Eppure non mi arrendo, sospendo il giudizio, e vado avanti e così facendo, mi do una opportunità. Man mano che procedo, emergono tutti i volti di questa storia, le altre lingue e sfumature, ciascun personaggio ha il suo modo di parlare, di raccontare. In mezzo Don Pino Puglisi, che illumina con la sua normale grandezza tutti coloro che incontra, nel quartiere di Brancaccio a Palermo, dove lotta per offrire una possibilità. Il bene e il male si mescolano, la bellezza travolge e la violenza spazza via, alcune esistenze resistono e altre cedono.

Tra tutti, sono i bambini e i quasi adulti ad avere una chance, una possibilità. I bambini che imitano i grandi, e nell’imitare, attraversano esperienze emotive che vanno spiegate, affrontate. Don Pino è sempre lì, a provare a decodificare insieme a loro, bambino anche lui nel vedere la vita, il dolore e lo spasimo che si cela nella brutalità.

E i quasi adulti, lì dove esplorano con rispetto i propri e altrui limiti, affrontano le loro prove consapevoli, per la prima volta, scorgendo la bellezza e la responsabilità dell’amore, appunto ciò che inferno non è.

Alla fine, la sovrabbondanza non è più tale, e non solo perché Federico ama le parole, e con lui Lucia, ma perché le esperienze che ci segnano possono essere chiarite solo restituendo la loro ricchezza e intensità. La sovrabbondanza salva la vita, dispiega le strade da percorrere con sicurezza, proietta l’idea di ciò che ciascuno di noi desidera essere.

Lo consiglio vivamente, per (ri)scoprire Don Pino Puglisi, per ricordarsi dell’infanzia, di tutte le prime volte, della potenza degli ideali imberbi, per godersi gli scorci chiaroscuri della Sicilia, di ciò che cambia o non cambia mai, della miseria e della grandezza umana.

Mi sono emozionato. Sono tornato bambino. Ragazzo. Sono tornato in Sicilia. Ho vissuto collettivamente quel 15 settembre 1993. Grazie.

A Milano, il libro si trova anche in prestito nelle biblioteche rionali.

PS: D’Avenia lo racconta nelle ultime pagine del libro, la foto in copertina è stata scattata dal Castello Tafuri a Portopalo di Capo Passero.

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